Vecchio continente depresso

Da quanto annunciato da Antonio Gavis,  Presidente del V Congreso Nacional de la Asociacion Espanola de Psiquiatria Privada (ASEPP), la depressione nel 2025 sarà la prima causa di inabilità al lavoro.
Gavis  ha smentito un’associazione diretta tra questo aumento e la crisi economica, ha tenuto però a precisare  che l’incertezza generata dalla crisi accresce i livelli di ansia e potrebbe, in tal senso scatenare una reazione depressiva.
Lo studioso ha anche precisato che a differenza di qualche anno fa, quando non si prendevano molto in considerazione i fattori biologici e genetici, oggi sappiamo che ci sono persone che nascono predisposte alla depressione.
Insomma le cause sono sempre da riportarsi a fattori genetici e ambientali e se per i primi possiamo fare poco, sulle cause ambientali ci sarebbe molto da dire e da fare. Basti pensare a quei fattori per così dire sociali che influiscono fortemente sulle credenze di un individuo e quindi sulla formazione degli stili di pensiero. Ed è in riferimento a questo che ci possiamo chiedere in questo momento storico: che aria respiriamo? Quale atmosfera ci circonda?
Beh, in questo momento Il vecchio continente, passatemelo, sembra proprio un paziente depresso. Uno di quelli che si cura un po’ da sé senza andare dal medico, senza affrontare il problema alla radice; sembra uno di quelli che vuol prendere farmaci senza andare dallo psichiatra, senza fare psicoterapia; sembra un paziente che non vuole riflettere, che vuole curare solo il sintomo, che in questo caso è l’essere in crisi.
E qui calzano perfettamente le parole di Galvis che conclude il congresso dicendo: “per riuscire a recuperare un paziente depresso bisogna sì utilizzare la farmacologia ma anche la psicoterapia, l’igiene, la dieta ed una riorganizzazione del tempo”.
Su quest’ultimo fattore credo sia importante riflettere: trovo “la riorganizzazione del tempo” fondamentale perché ci invita a riflettere su come lo usiamo male e su come sia importante trovare un modo diverso di disciplinare noi stessi in relazione al tempo.  Noi come terapeuti, educatori, genitori dovremmo forse riprendere in mano i libri di Dewey e della Montessori che tanto hanno scritto su un’organizzazione del tempo che faceva crescere bene, che aveva spazio per tutto, anche per il riposo, ma secondo un criterio educativo vero. E allora perché non farlo, perché non applicare in tutti gli ambiti le semplici buone vecchie norme?
Cercando risposte a questa domanda ho chiesto a molti pazienti il motivo per cui si rifiutavano di fare gli homework che assegnavo loro dopo la seduta di psicoterapia;   sapete cosa mi hanno risposto?: “No, non lo faccio perché è faticoso, io già vengo qui da lei”.  Davanti a risposte come questa ho tante volte pensato che le diagnosi vanno fatte sui criteri del DSM, le anamnesi sulle parole di Don Milani e Don Sturzo.
Collegata a questo articolo leggiamo su “Il Quotidiano Sanità” il seguente titolo: Malattie psichiatriche. Ne soffre un italiano su tre.
Il disagio psichico è una problematica di sempre più larga diffusione e di interesse collettivo. Gli ultimi dati epidemiologici attestano, infatti, che circa 1/3 della popolazione soffre annualmente di patologia psichica, con importanti ripercussioni sulla vita familiare e sociale. Tuttavia, nonostante l’incidenza significativa sul territorio, manca ancora una adeguata proporzione tra il bisogno e la risposta ad una esigenza condivisa in termini di cure, interventi, trattamenti e servizi opportunamente dedicati. Serve dunque un potenziamento dei servizi a disposizione di coloro che sono più esposti a segnali di disagio psichico, sempre crescenti, provenienti da aree della popolazione fino ad ora sconosciute.Sono questi i messaggi e gli obiettivi del 46° Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria (Sip) in programma il 7 e 8 ottobre a Milano e dal titolo ‘Nutrire la mente: dalla prevenzione alla riabilitazione oggi’.
Volutamente organizzato in contemporanea della 20° Giornata mondiale della salute mentale dedicata alla ‘Depressione e crisi globale’, il congresso traccia un quadro dei nuovi fattori di rischio di questa patologia che resta, agli occhi di molti, ancora troppo a lungo invisibile.

“La sfida posta dal congresso – dice Claudio Mencacci – è quella di sensibilizzare ad una psichiatria che non si occupi solo dei pazienti più ‘visibili’ e più ‘destinati alla marginalizzazione’ ma che sia capace di un’opera di integrazione di tutte le espressioni del disagio psichico presenti nella società e dunque capace di parlare ai cittadini, di essere compresa e di operare come soggetto forte portatore di un sapere forte.