La Sindrome di Medea: Quando l’amore rende folli

di Amelia Avruscio 11/03/2014

Poche settimane fa, nei pressi di Cosenza, una moglie tradita decide di uccidere il proprio figlio, vedendo  probabilmente tale gesto come unico modo di trovare rivalsa al dolore provato per aver perso la certezza di un amore. L’amore, un sentimento che da sempre unisce gli uomini, può essere esso stesso causa di laceranti rotture nell’anima, che possono portare a perdere i punti di riferimento e a compiere gesti  estremi, irreparabili. Come fece Medea, il personaggio nato da Euripide, una donna innamorata disposta a tutto per il suo amato Giasone, anche a sacrificare il proprio fratello per aiutarlo a rubare il vello d’oro; la stessa donna che, dopo aver avuto due figli da quell’uomo, vistasi da lui ripudiata per un’altra più giovane, uccide quest’ultima e i propri stessi figli. Medea pensa che il modo più efficace di ferire quell’uomo tanto crudele è quello di privarlo della propria discendenza, ed è questa l’accezione simbolica del figlicidio compiuto da una donna come conseguenza ad una separazione. La separazione coniugale è sempre una fonte di frustrazione e di aggressività nella quale i figli vengono inevitabilmente triangolati diventando oggetto di dispute e rivalse tra i coniugi, dove ciascuno di loro cerca di portare il figlio dalla propria parte, a scegliere con chi schierarsi. Si pensi alla PAS , Parental Alienation Syndrome, (Gardner  1988) in cui il genitore alienante, più spesso la madre, intesse una campagna denigratoria nei confronti dell’altro coniuge, portando il figlio a odiare l’altro genitore. In questi casi il figlio perde quasi le proprie caratteristiche “umane”, diviene un oggetto su cui trasferire le proprie frustrazioni.

Nella sindrome di Medea tutto ciò è portato all’estremo, il figlio diviene il bersaglio, in un processo di spostamento dell’aggressività di una donna tradita e delusa su colui il quale rappresenta il legame con quell’uomo tanto odiato che le causa tanta sofferenza. Allo stesso tempo la madre, in crisi psicotica, è preda di un delirio di onnipotenza per cui si autonomina giudice di vita e di morte e uccide il figlio “per non farlo soffrire” , reimpossessandosi  completamente del figlio ed estromettendo il padre (Merzagora, 1996).

La Medea letteraria e quella reale hanno in comune le emozioni, quella parte di noi più primordiale e incontrollabile che ci rende capaci di costruire come di distruggere, di amare come di odiare e anche, purtroppo, di uccidere.