Depressione e obesità

di Gabriella Reda e Sanny Costanzo 28/05/2012

La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo. (Seneca)

La frase di Seneca può prestarsi a varie interpretazioni: solitudine e cibo, in base alle loro dosi, possono essere salutari o nocivi. Il cibo ha da sempre avuto una forte valenza simbolica. Oltre ad essere un bisogno primario per la sopravvivenza (ce lo ricorda Maslow nella piramide dei bisogni), è fonte di investimento da parte dell’uomo che lo ha sovraccaricato di significati. Esso può diventare un campo di scontro tra pulsioni, desideri ed opposte sensazioni: mangiare e digiunare, riempirsi e dimagrire, godere e provare disgusto (P. Sacchettino, 20/06/11 – Il malessere del corpo). La frustrazione che deriva dalla mancanza di gratificazioni o da una condizione di solitudine può indurre la persona ad utilizzare il cibo per distrarsi da pensieri ed emozioni sgradevoli. Talvolta il cibo diventa una droga, evita la sofferenza psichica e può sostituire il sesso, l’amore, il piacere. Fonte di sicurezza e soluzione alle proprie sofferenze, esso è utilizzato per placare la sensazione spiacevole che deriva dall’impossibilità di vivere un’esistenza soddisfacente.
Il meccanismo psicologico che sta alla base della cosiddetta “fame nervosa” è l’impulsività: la parte razionale della mente lascia il posto all’istinto. Nei Disturbi del comportamento alimentare, in particolar modo nella bulimia, l’impulsività rappresenta una caratteristica che assume rilevanza nella sensazione di perdita di controllo.  Inoltre l’impulsività è un aspetto considerevole anche nell’obesità, che porta all’assunzione di una quantità cibo superiore al fabbisogno giornaliero causando sovrappeso.  In uno studio condotto da Nederkoorn et al. (2006) viene messo in evidenza che la presenza di comportamenti impulsivi spingeva i bambini obesi a cercare immediate gratificazioni alle frustrazioni tramite il ricorso al cibo rendendo difficile la perdita di peso. L’eccessiva importanza attribuita al peso e all’aspetto fisico può influenzare in maniera patologica l’autostima creando sensi di colpa e sensazione di inadeguatezza alla persona che assume cibo in maniera incontrollata. Nei soggetti obesi il ruolo dell’insoddisfazione corporea che determina bassa autostima può provocare una maggiore compromissione del funzionamento globale della persona anche nei rapporti sociali creando disagio nelle relazioni e maggiore stress psicologico (Ramacciotti, Coli e coll., 2008). Si registra un’alta comorbidità con Disturbi dell’Umore, Disturbi del Controllo degli Impulsi e Disturbi di Personalità.
L’obesità non compare nella classificazione del DSM IV poiché non ne è accertata l’associazione costante con alcuna sindrome psicologica o comportamentale.  L’obeso non riconosce la sensazione di sazietà e pienezza, i chili di troppo rappresentano uno scudo contro una realtà che viene vissuta come ostile. Anche nell’ambito dell’obesità c’è l’aspetto del dismorfismo corporeo (resistenza contro la femminilità si manifesta in maniera esplicita con la mancanza di mestruazioni). L’attenzione per il peso ed un ridimensionamento di un eventuale eccesso in realtà non rappresentano per l’uomo un problema nuovo in quanto già Ippocrate scriveva che “il sovrappeso porta problemi di salute”. Per evitare un eccesso di peso gli storici hanno riportato anche delle pratiche che gli uomini erano soliti attuare per non ingrassare: si riporta che Socrate ballasse “ogni mattina per restare magro”, gli Spartani attuavano delle ispezioni mensili, ossia chi tra i giovani aumentava di peso veniva punito con pesanti esercizi fisici ed infine si narra che i Romani fossero soliti espellere il cibo in maniera volontaria con il vomito quando “esageravano”.
Al giorno d’oggi più che di obesità l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha coniato il termine di GLOBESITY ossia un’alterazione metabolica cronica caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.  L’obesità è quindi un eccesso di tessuto adiposo in grado di indurre un aumento significativo di rischi per la salute (malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete, ipercolesterolemia), è il disordine nutrizionale più frequente nei paesi sviluppati e in particolare l’obesità infantile è uno dei problemi più  frequenti in età pediatrica. Negli USA circa il 15% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni e il 15.5% degli adolescenti  è obeso.
L’obesità è una patologia cronica, degenerativa e recidivante che è caratterizzata da un eccesso di massa grassa pari al 17% di grasso nel maschio e 25% nella donna. Per diagnosticare il grado di obesità, oltre all’esame bioimpedenziometrico, un buon indice diagnostico preliminare è il BMI Body Mass Index che è il rapporto tra il peso e l’altezza al quadrato: valori di BMI superiori a 30Kg/m2 sono indicativi di obesità che può essere moderata, severa o grave.  In base all’etiologia ossia la causa dell’obesità questa si classifica in “essenziale” o “secondaria”.
L’obesità secondaria è meno frequente dell’essenziale ed è dovuta a patologie e/o alterazioni quali: patologie endocrine (morbo di Cushing, ipotiroidismo), danni al SNC (tumori ipotalamici), sindromi genetiche (sindrome di Prader-Will, sindrome di Down) o agenti farmacologici (steroidi).  L’obesità essenziale, invece, rappresenta il 95% dei casi è caratterizzata o da fattori genetici che predeterminano il numero delle cellule adipose (adipociti) e inducono alterazioni del comportamento alimentare e del dispendio energetico (in questo caso, nei figli i cui genitori sono entrambi obesi la probabilità di sviluppare la stessa patologia è cinque volte maggiore) o da un aumento dell’introito calorico alimentare che è dovuto a diversi fattori tra cui:
– Fattori ambientali socio-culturali: “è difficile immaginare un ambiente più efficace del nostro nel produrre l’obesità” (Battle and Brownell, 1996 ) e sedentarietà.
– Cattive abitudini alimentari (spostamento nella dieta da un elevato tenore di carboidrati complessi e fibre ad un’alimentazione ricca in grassi soprattutto saturi) che portano a iperfagia prandiale o ad un disturbo da alimentazione incontrollata
– Fattori psicologici: depressione, disturbo dell’umore, ansia, bassa autostima, sensi di colpa (che innescano un circolo vizioso grazie al quale il soggetto alterna momenti di restrizione alimentare con altri di perdita di controllo, modalità alimentare che porta allo sviluppo di pensieri e comportamenti perpetuanti l’obesità), impulso verso il cibo (favorendo l’insorgenza dei sensi di colpa e il successivo perpetuarsi dei sintomi depressivi).
Dal punto di vista psicodinamico H. Bruch ritiene che l’obesità nasca nella diade madre-figlio, considerata come unità psicosomatica dove la madre, iperprotettiva, offre cibo al figlio non per ragioni nutrizionali ma come espressione di affetto, dedizione e come mezzo per tenerlo legato a sé. L’alimentazione sovrabbondante tranquillizza l’ansia e i sensi di colpa della madre e costituisce una risposta ad altre richieste del figlio che la madre non è in grado di soddisfare. I soggetti obesi crescono senza un adeguato senso di sicurezza, con un’alterata immagine corporea, con difficoltà a riconoscere gli stimoli interni che indicano fame e sazietà. In questo caso si parla di fissazione a livello orale ossia l’incorporazione del cibo equivale simbolicamente al conforto ricevuto nel rapporto con la madre – carenza d’amore e solitudine.
Da quanto detto sinora si evince come la nutrizione e la psiche siano correlati; numerosi studi testimoniano una netta correlazione tra obesità e depressione, un legame sottile, una sorta di relazione biunivoca che spinge i soggetti obesi a diventare maggiormente depressi e viceversa, come dimostra un ampio studio olandese pubblicato sulla rivista Archives of General Psychiatry.  “Abbiamo riscontrato un’associazione bidirezionale tra la depressione e l’obesità: le persone obese hanno un rischio maggiore del 55% di sviluppare depressione nel tempo, mentre le persone depresse hanno il 58% di rischio in più di diventare obese”, ha dichiarato l’autore dello studio Floriana Luppino che, assieme ai colleghi del Leiden University Medical Center ha passato in rassegna 15 studi per un totale di 59.000 soggetti.  Esistono diverse teorie su come l’obesità e la depressione possano essere collegate e i ricercatori spiegano che le più accreditate sono che:
• “L’obesità può essere considerata una condizione infiammatoria e l’infiammazione è associata al rischio di depressione”;
• “La magrezza è un ideale di bellezza sia in Europa che negli Stati Uniti, in modo che essere in sovrappeso o obesi può contribuire alla insoddisfazione del corpo e alla bassa autostima, che aumenta il rischio di depressione”;
• “La depressione può influire negativamente sulle dinamiche di funzionamento del sistema endocrino portando a un aumento graduale del peso corporeo”.
I risultati, pubblicati negli Archives of General Psychiatry, possono contribuire a migliorare la cura dei pazienti, secondo i ricercatori. Poiché l’aumento di peso sembra essere una conseguenza tardiva della depressione, i medici devono essere consapevoli che il peso dei pazienti depressi deve essere monitorato. Inoltre anche lo stato d’animo dei pazienti in sovrappeso o obesi  deve essere monitorato. Questa consapevolezza potrebbe portare alla prevenzione, diagnosi precoce e co-trattamento per i più a rischio che potrebbe, in ultima analisi, ridurre il carico di entrambe le condizioni. In particolare uno studio prospettico condotto in Finlandia ha seguito per 20 anni lo stesso campione di 12000 persone nate nel 1966, valutando periodicamente alcuni parametri psicopatologici e fisici. In questo studio è emerso che giovani donne con depressione dell’umore in infanzia o adolescenza presentano un altissimo rischio di sviluppare sovrappeso e obesità, pari a circa 11 volte il rischio di chi non è depresso.
Considerando quanto sia difficile riconoscere e trattare adeguatamente la depressione infantile e adolescenziale, che talvolta appare sfumata e fluttuante, questi dati sottolineano la duplice necessità di valutare approfonditamente la salute infantile e adolescenziale, trattare i sintomi di depressione dell’umore in modo adeguato e soprattutto, tenere bene a mente il nesso tra umore depresso e futura obesità, che sembra essere valido soprattutto per le donne.
Bibliografia: – Luppino FS et al. Overweight, Obesity, and Depression: A Systematic Review and Meta-analysis of Longitudinal Studies. Arch Gen Psychiatry 2010; 67(3):220-9 – P. Sacchettino, 20/06/11 – Il malessere del corpo – www.who.it – www.lancet.com – Archives of General Psychiatry – PubMed
Dott.ssa Gabriella Reda, Psicologa Psicoterapeuta Dott.ssa Santa Costanzo, Biologa Nutrizionista