Ciò che deve essere curato

Vi sono almeno due importanti ragioni perché Psicologi e Psichiatri debbano occuparsi di narcisismo: perché il narcisismo sta alla base di tutti i disturbi mentali e quindi rappresenta ciò che deve essere curato (Romolo Rossi) e perché, da un punto di vista sociologico, il narcisismo può essere visto come uno dei fenomeni degenerativi della cultura contemporanea (Christopher Lasch).
In questo articolo esamineremo questi due aspetti separatamente.
E’ facile evidenziare la trasversalità dei tratti narcisistici, dai disturbi di personalità alla psicosi, dall’anoressia nervosa ai disturbi correlati a sostanze d’abuso, specialmente di cocaina (notare che il termine narcisismo ha la stessa radice di narcotico).
Il quadro pervasivo di grandiosità, la necessità di ammirazione, la mancanza di empatia, la difficoltà a riconoscere i desideri, le esperienze e i sentimenti degli altri, quasi mai è avvertito e riconosciuto dal soggetto che richiede la consultazione psicologica. Semmai egli esprime con garbo le sue fantasie di grandezza: velatamente fa capire che i suoi talenti e i suoi interessi sono speciali; le sue qualità, per quanto eccezionali, sono sottostimate. I rapporti interpersonali del narcisista sono caratterizzati dall’incapacità di dare e ricevere affetto: gli altri sono solo strumenti per ottenere conferme e approvazione, mezzi per raggiungere i propri scopi; manca in tutti l’empatia, in particolare nei confronti delle persone più vicine; il narcisista tende ad essere invidioso di persone a cui si sente inferiore; nel rapporto di coppia, egli idealizza il partner all’inizio della relazione per poi svalutarlo sempre di più con l’andare del tempo, fino ad assumere un atteggiamento pretenzioso all’interno della relazione stessa.
“L’altro”, dal narcisista è tollerato esclusivamente “in funzione di”, non in quanto individuo separato, “così com’è o per quello che è”.
Se il problema della persona affetta da disturbo narcisistico è quello di non avere mai instaurato relazioni profonde e significative, la cura avviene tramite l’instaurazione di un nuovo modo di relazionarsi. E’ questo lo scopo della psicoterapia, ma il compito principale dello Psicologo resta quello di ricondurre il bisogno di assoluta stima, di conferma e successo al vissuto primario e infantile di un’ antica ferita d’amore (narcisistica, appunto). Il narcisismo è quasi sempre prodotto da un trauma. “L’intero funzionamento narcisistico – la grandiosità e il disconoscimento di parti del Sé – saranno una procedura difensiva” (Symington).
Uno degli obiettivi della Psicoterapia Cognitiva è quello di lavorare sugli stati problematici e dunque sui malfunzionamenti metacognitivi (schemi e stati interni) del paziente affetto da Disturbo Narcisistico di Personalità attraverso una buona relazione psicoterapeutica. Gli schemi interpersonali si costruiscono sulla base di interazioni reali ripetute – e anche sulla base di disposizioni innate – con le figure di riferimento. “Sono rappresentazioni dell’interazione che descrivono l’immagine di Sé, l’immagine dell’altro e la relazione che li lega” (Di Maggio, Semerari).
Gli schemi maladattivi precoci (fortemente radicati e stabili) condizionano nel tempo lo sviluppo relazionale e sono definiti “fattori di mantenimento” dei Disturbi di Personalità. La relazione terapeutica ha come scopo quello di creare un ambiente in cui il paziente possa sentirsi accudito e stimato “anche se non è perfetto e speciale” e in cui possa a sua volta avere cura del terapeuta ed apprezzarlo “anche se – neanche lui – è perfetto o speciale” (Schema Therapy, a cura di Carrozza, Marsigli, Melli).
Dunque lo Psicoterapeuta deve compiere un viaggio a ritroso, un percorso all’indietro, come avviene anche in psicoanalisi, dove si opera una netta distinzione fra il legame libidico frutto di un investimento oggettuale esterno e quello legato all’amore narcisistico (per se stessi).
La teoria psicoanalitica non intende per narcisismo il comportamento di una persona che tratta il proprio corpo come un oggetto sessuale, compiacendosi sessualmente di contemplarlo, accarezzarlo e blandirlo, fino a raggiungere, in una sorta di perversione, il pieno soddisfacimento, bensì lo considera uno stadio psicologico necessario e universale dell’infanzia.
Si tratta di un investimento libidico (cioè degli istinti, delle passioni) sul proprio Io: il narcisismo infantile è una splendida stagione dell’esistenza nella quale non è necessario cercare nell’altro il proprio oggetto d’amore, ma ci si può beare eroticamente del proprio Io. In seguito la libido si trasferirà sugli oggetti esterni (n.b. per Freud gli oggetti sono anche le persone e comunque tutto ciò che riesce a soddisfare una pulsione): è così che il punto più alto cui possa pervenire la libido oggettuale è lo stato di innamoramento, il quale si presenta come una rinuncia del soggetto alla propria personalità, in favore di un investimento d’oggetto. Il riapparire in età adulta del narcisismo invece rappresenta una regressione della personalità, come accade ad esempio agli psicotici, che ritirano l’investimento libidico dagli oggetti esterni, per riportarlo sul proprio Io: essi infatti rifiutano le cose, le persone, il mondo esterno in generale e sono concentrati solo su se stessi.

Da un punto di vista sociologico, il narcisismo può essere visto come uno dei fenomeni degenerativi della cultura contemporanea legato all’avvento della industrializzazione e al decadimento dei valori tradizionali. Uno dei criteri diagnostici chiave del Disturbo di Personalità Narcisistico, lo sfruttamento interpersonale, è considerato fortemente adattivo nella nostra società. In effetti, la struttura stessa del nostro sistema economico è fondata sul ricompensare coloro che sono capaci di convincere gli altri ad acquistare un prodotto. Nel mondo aziendale, “produrre” è diventato più importante rispetto a valori come impegno, lealtà, integrità e calore interpersonale. In particolar modo, l’individuo ricorre ad un nucleo di strategie di sopravvivenza psichica che lo portano a rifuggire il coinvolgimento affettivo, mentre è alla costante ricerca dell’approvazione altrui, del consenso, di appagamenti immediati (seguendo il principio del piacere).
Christopher Lasch, ne: “La cultura del narcisismo” afferma che le manifestazioni più importanti dell’edonismo nella società americana dagli anni Settanta in avanti sono: un individualismo esasperato, la diffusa caduta della tensione politica, l’esasperata pratica dell’autocoscienza, il culto del corpo, l’ossessione della vecchiaia e della morte, la liberalizzazione sessuale.
Lasch, che invita a “non educare al successo”, criticando l’ossessione per l’autorealizzazione, approda a una teoria apertamente ostile alla cultura liberal, all’ottimismo progressista basato sulla negazione dei limiti che la natura pone all’uomo, alla cieca fiducia nella crescita illimitata del capitalismo, ai suoi modelli consumistici di massa, alla sua demolizione della tradizione, della famiglia, delle comunità locali. Quella costruita dalla sinistra liberal americana (solo americana?) è una democrazia funzionale alla conquista del potere delle èlite, che gestiscono un intervento intromissivo dello Stato nella vita privata. Mentre “la democrazia funziona – secondo Lasch – soprattutto quando gli uomini e le donne agiscono per se stessi, con la collaborazione degli amici e dei vicini, invece di dipendere dallo Stato“.
La vittima principale delle politiche progressiste è la famiglia, svuotata di funzioni dall’ideologia dominante che tende sempre più a delegare a medici, psicologi, assistenti sociali l’educazione dei figli. Ma è in famiglia, innanzitutto, che si costruisce un argine alla banalizzazione dell’esistenza: il trionfo dei modelli televisivi, la cultura del facile e subito, la rimozione vittimistica degli insuccessi, il rifiuto per le onerose assunzioni di responsabilità.
Negli anni Sessanta si andava delineando la fine dell’epoca in cui la psicoanalisi era nata: la modernità; l’epoca successiva, verrà definita con l’aggettivo, provvisorio ma significativo, di postmoderna. Proprio in quegli anni la psicoanalisi, secondo l’accusa di James Hillman, chiudeva la finestra che dallo studio dell’analista guarda sul mondo. Il «romanzo familiare» della scena viennese primo Novecento (padre severo, figlia isterica, madre fantasioso-inquieta, figlio incerto se soccombere o difendere la propria virilità), non spiegava quasi più nulla, soprattutto se quella finestra rimaneva ermeticamente chiusa.
Dal punto di vista degli stessi fondamenti dell’analisi lo scenario in quegli anni mutava profondamente. Il padre, ad esempio, l’agente della castrazione simbolica, e quindi anche dell’iniziazione del figlio nel mondo, il propulsore delle sue nevrosi, ma anche della sua maturazione, diventava in realtà una figura sbiadita, che non promuoveva più nulla, se non rabbia e risentimento per la sua debolezza. Impegnato sempre di più nel lavoro, assente da una famiglia in crisi per la quale si varavano legislazioni favorevoli alla madre, definito ormai soltanto con espressioni negative, da paternalistico a patriarcale, il padre (l’eroe positivo della psicoanalisi) si avviava a diventare il grande assente del secolo che finiva (Claudio Risè).
Ma se il figlio non è più Edipo, la castrazione non è più superabile né simbolizzabile, impossibile dunque andare al di là della rabbia ribellistica e trasgressiva, oscillante dalla molotov al più tardivo e ridicolo, aerobico, girotondo. La personalità adulta non può formarsi e si rimane degli eterni Narcisi, alla disperata ricerca e contemplazione del proprio volto e della propria identità, eternamente oscillanti tra una posizione orale, divorante e una anale, avara, col suo contorno di sintomi ossessivi. Entrambe, comunque, sempre ampiamente al di sotto della genitalità, condizione psicologica propria della personalità adulta. Il padre, trasformato da principio normativo in venditore-consumatore, è ormai difficile da rimuovere e ognuno dunque rivendica un’identità e un destino ormai smarriti. O, più semplicemente, non si ha più voglia di vivere, come illustrano le diverse patologie postmoderne.
Un tratto distintivo della personalità narcisistica è la distruttività.
I miti distruttivi (Narciso, Icaro, Prometeo, Lucifero ecc.) sono caratterizzati da assunzioni inconsce e da coazioni a ripetere modalità distruttive che si manifestano in comportamenti ripetitivi intessuti di un simbolismo carico di istinto di morte.
Nella mitologia greca, Narciso, giovane di rara bellezza, amato da ninfe che ricambiava con cinica indifferenza, fu talmente attratto dalla propria immagine da rispecchiarsi nell’acqua fino a cadervi e annegare. La Dea Nemesi punì Narciso facendolo innamorare della sua immagine, non a causa della vanità o della ostentazione delle sue doti, ma per la sua insensibilità e durezza d’animo.
La stessa nemesi toccherà alla cultura contemporanea?